Alle origini di Pianoterra c’è il desiderio di creare uno spazio che accolga persone in difficoltà, dove queste possano sentirsi ascoltate e non giudicate, dove possano trovare rifugio e tirare un sospiro di sollievo, metaforicamente ma anche in senso letterale. Un luogo dove fermarsi per un po’, dove trovare riposo da quell’affanno fatto di ansia, paura, diffidenza e solitudine che colora il vivere quotidiano di chi, ad esempio, è senza lavoro, senza il sostegno di amici e familiari perché si trova in un paese straniero, senza un compagno nel delicato periodo della gravidanza e della nascita di un bambino, in condizioni di marginalità e isolamento.
In ciascuna delle sedi in cui interveniamo, e in ciascuno dei progetti che mettiamo in campo tra Roma e Napoli, abbiamo lavorato per creare proprio questo tipo di spazio per le tante famiglie che incontriamo e accompagniamo ogni giorno. Uno luogo percepito anche come rifugio. Per questo Pianoterra è particolarmente sensibile al tema dei diritti dei profughi e dei rifugiati, ricordati in particolare oggi, nella Giornata internazionale del rifugiato. Un tema definito da più parti negli ultimi anni come il tema più importante della nostra era.
La tendenza è di parlarne come di “invasioni”: di masse di individui che premono ai confini della “Fortezza Europa”, sempre più presidiati e mortali, a cui vengono affibbiate le etichette più varie pur di non voler guardare in faccia la loro umanità, la loro soggettività di donne e uomini in fuga da contesti drammatici verso un futuro migliore. Assistiamo ogni giorno allo stillicidio dei numeri su chi arriva e chi viene respinto, o muore, nel tentativo di arrivare; al braccio di ferro tra pezzi di istituzioni muscolari che hanno fatto della chiusura e del respingimento il loro piano d’azione; e a una società civile che, con molte organizzazioni del terzo settore ma anche con cittadine e cittadini comuni, si ribella alla logica della paura e della chiusura e chiede di parlare di persone, e non più di numeri.
A tutto questo assistiamo mentre lavoriamo ogni giorno per offrire un rifugio alle famiglie, alle donne e ai bambini che varcano la nostra soglia; mentre ci poniamo in ascolto delle storie che vogliono condividere con noi; mentre condividiamo con loro uno sguardo “ad altezza d’uomo”, per creare un terreno di incontro e riconoscimento, unico presupposto per l’efficacia di qualsiasi azione di sostegno che si possa mettere in campo.
Sono in tanti a portarsi dietro etichette quali “richiedente asilo”, “rifugiato” o, peggio, “irregolare” o “clandestino”. A quelle etichette però non consentiamo di varcare la soglia di Pianoterra; le teniamo ben presenti, ovviamente, quando si tratta di dare una mano a chi se le porta attaccate addosso come un fardello a districarsi nella nostra burocrazia per accedere ai diritti di cui sono titolari – anche nel nostro paese – in quanto esseri umani; primo fra tutti il diritto alla salute.
A Pianoterra entrano persone, donne e uomini che hanno difficoltà ma soprattutto speranze, per se stessi e i loro figli.
A loro dedichiamo il nostro lavoro e le nostre energie, e accanto a loro ci schieriamo, tutti i giorni e oggi in particolare, senza cedere al ricatto della paura o alle accuse di “buonismo”. Non siamo “buonisti”, e neppure “buoni”: siamo – o quanto meno cerchiamo di essere – umani.