La Giornata internazionale della donna assume un significato particolarmente per donne che vivono in contesti di forte vulnerabilità, in cui il più delle volte si sommano disagio socio-economico, marginalità, esclusione, isolamento. Leggere questi contesti attraverso la lente della parità di genere è complesso, proprio perché nella maggior parte dei casi il disagio è fatto di tanti diritti mancati e il genere è solo uno dei tanti fattori – accanto a quelli socio-economici, etnico-religiosi, culturali – che contribuiscono a rendere le vite quotidiane delle donne con cui lavoriamo difficili, faticose, a volte impossibili. Parlare di diritti delle donne perciò significa parlare di diritti in generale, di diritti universali.
Per noi che lavoriamo soprattutto con donne che sono anche madri o stanno per diventarlo, il nesso strettissimo tra parità di genere e diritti universali ha un ulteriore risvolto. La gravidanza, il parto, la maternità, eventi così strettamente legati all’esperienza dell’essere donna e al tempo stesso – come sappiamo – cruciali per gettare le basi di una crescita sana per il bambino, sono fasi in cui gli effetti delle discriminazioni di genere e della negazione di diritti fondamentali alle donne si amplificano, incidendo anche sul presente e sul futuro dei bambini. Sappiamo infatti che le condizioni di disagio e le esperienze negative vissute dai bambini già dalla gravidanza e nei primissimi anni di vita ne influenzano in profondità, e in modo duraturo, lo sviluppo psicologico e neurologico.
Eppure proprio in queste fasi le donne sperimentano discriminazioni e negazione di diritti, e questo non solo in contesti di disagio e vulnerabilità. Discriminazioni sul posto di lavoro e rischio di espulsione forzata dal mercato del lavoro, scarsa tutela della salute psico-fisica della donna in gravidanza e dopo il parto, limitato e talvolta negato accesso a informazioni importanti, disparità nella condivisione dei compiti genitoriali sono solo alcuni dei fattori che possono trasformare la maternità in un’esperienza segnata da ansia, paura, insicurezza, solitudine. In contesti di particolare disagio e vulnerabilità le discriminazioni di genere e la negazione di diritti possono assumere risvolti ancora più gravi, con ricadute ancora più dirette e immediate sulla salute psico-fisica della donna e del bambino. Se una donna non ha accesso a cure ante-natali e perinatali adeguate può andare incontro a problemi di salute per se stessa e il bambino; se non ha avuto modo di frequentare un corso di accompagnamento al parto e alla nascita, perché non in programmazione nel consultorio familiare territoriale di riferimento, potrebbe non avere informazioni fondamentali sulla fisiologia della gravidanza, del parto e del puerperio, e questo, sommato magari all’ostacolo della lingua, può compromettere ad esempio la sua capacità di comprendere le procedure medico-sanitarie che vengono messe in pratica in ospedale o rendere più difficile l’allattamento naturale, e tradursi in un’esperienza traumatica del parto e della maternità con effetti sulla relazione tra madre e bambino; l’esposizione a maltrattamenti o a violenza domestica può mettere a rischio la sicurezza fisica della donna e del bambino nell’immediato e creare un ambiente tossico in cui il bambino non potrà crescere in modo sereno.
Accompagnare queste donne, rafforzare la loro consapevolezza, alleviare condizioni di fatica e stress materiale ma anche emotivo, trasmettere loro informazioni fondamentali, fare da ponte e provare a spezzare l’isolamento in cui possono ritrovarsi: tutte queste azioni hanno un effetto non solo sulle loro vite, ma anche su quelle delle famiglie e delle comunità in cui vivono. Battersi per la parità di genere, agire per i diritti di queste donne – di tutte le donne – significa perciò agire per costruire una società migliore, in cui i diritti fondamentali siano garantiti a tutte le sue componenti, dalle più fragili a quelle più forti. Questo è il significato che diamo all’8 marzo a Pianoterra.