Con la chiusura delle scuole di tutto il paese, avvenuta due settimane fa, molti di noi hanno iniziato a toccare con mano l’emergenza sanitaria provocata dall’epidemia di Covid-19. Una misura da “tempo di guerra”, che ha sconvolto la quotidianità di tutte le famiglie italiane, e sta imponendo a tutti i genitori, i bambini e i ragazzi enormi sacrifici: isolamento forzato, interruzione della continuità didattica, difficoltà di gestione di tempi e spazi normalmente dedicati al riposo e oggi diventati anche scuola e luogo di “lavoro agile” e attraversati da mille tensioni, e la lista potrebbe continuare. Si tratta di difficoltà e problemi che tutte le famiglie stanno sperimentando e che si aggravano ulteriormente in contesti di vulnerabilità e marginalità socio-economica.
La scuola e il percorso educativo di bambini e ragazzi, sembrano tuttavia spariti dal discorso pubblico in questi giorni, interamente fagocitato dalla dimensione medico-sanitaria ed economico-finanziaria. Negli appelli ufficiali e nelle disposizioni che si susseguono le une alle altre si parla – giustamente – di posti letto in terapia intensiva, di personale medico-sanitario in sofferenza, di attività produttive da chiudere o sostenere, persino di strette sulle corsette all’aria aperta, ma non una parola, da giorni, sui bambini e i ragazzi che in tutta Italia non vanno a scuola da settimane e rischiano di non tornarci più per quest’anno, e su tutto quello che questa condizione eccezionale comporta in termini educativi, psico-fisici e sociali. Di scuola si parla a margine, e solo per ragioni di tipo “burocratico”: paventare un ulteriore prolungamento della chiusura, attivare procedure per le verifiche e gli esami e poco altro. Le famiglie sono lasciate in balia di tentativi più o meno riusciti di garantire un minimo di continuità didattica attraverso l’utilizzo a volte disordinato e confusionario di strumenti digitali (dalle chat sul telefonino alle video-chiamate a piattaforme di vario tipo). E questo nel migliore dei casi, in quanto sono tanti i bambini e i ragazzi che, vivendo in contesti di povertà economica ed educativa, non hanno la possibilità di accedere a queste forme di didattica.
Assente dal discorso pubblico ufficiale, questo tema è ben presente nel dibattito che sta attraversando il terzo settore, all’interno del quale opera anche Pianoterra. Un settore già immediatamente mobilitato accanto a quello pubblico nel fronteggiare l’emergenza sanitaria e socio-assistenziale e che, grazie alla vicinanza alle categorie più fragili e vulnerabili, coglie con più immediatezza criticità e nuovi bisogni.
Proprio nel terzo settore si stanno moltiplicando in questi giorni dibattiti e iniziative per portare all’attenzione pubblica la gravità della situazione in cui si trovano i bambini e i ragazzi, e le loro famiglie (e in particolare le donne e le mamme). La speranza è che le difficoltà e i bisogni che noi stiamo rilevando e portando alla luce trovino immediata ricezione anche nei decisori politici: la battaglia contro il Covid-19 deve necessariamente tenere presente – da subito – anche questa dimensione, collaterale ma non secondaria se vogliamo che, passata l’emergenza sanitaria, la nostra società riesca davvero a risollevarsi. Per questo è importante partire da loro, dai bambini e dai ragazzi: abbiamo chiesto loro di restare a casa, imparare nuovi comportamenti, rinunciare al contatto con compagni di classe e insegnanti, fare sforzi maggiori per continuare a imparare; sarebbe bello che i loro bisogni e le loro difficoltà emergessero anche nei discorsi ufficiali. Nell’attesa, per la pazienza, i sacrifici e il coraggio che stanno dimostrando, un enorme GRAZIE da parte di Pianoterra.