Per una neo-mamma, allattare al seno il proprio bambino è un momento importantissimo, in cui oltre ad offrirgli un nutrimento vitale, impara a conoscerlo e a costruire un legame profondo. Può essere però anche un momento di difficoltà, che richiede alla donna una grande dose di forza e fiducia in se stessa e nelle proprie risorse. E’ stata questa l’esperienza di Lucia, una donna che abbiamo conosciuto allo sportello di Fiocchi in ospedale al Cardarelli con il ricovero del suo bimbo, nato prematuro, nel reparto di Terapia intensiva neonatale. Le abbiamo chiesto di raccontarcela, ci è sembrato un modo significativo di celebrare la Settimana mondiale per l’allattamento materno 2020.
Federico, il mio secondo figlio, ha deciso di nascere senza preavviso, come un acquazzone in una giornata d’estate. Un piccolo guerriero nato a sole 28 settimane, con un parto naturale.
Credo che nessuno possa essere psicologicamente pronto a un evento simile e nemmeno il corpo ha il tempo di capire cosa è successo. Il posto di Federico era nel mio grembo, e invece ha trascorso 43 giorni in TIN e altri 10 in culletta. In quei giorni mi sono sentita sola, incapace e impotente. Piangevo perché avevo lasciato Federico in ospedale, faticavo ad adattarmi agli orari della TIN, che mi sembravano assurdi. Tutti si sono accorti del mio dolore e ho trovato nel suggerimento ricevuto dalle operatrici di Fiocchi in Ospedale una possibilità per superare questo mio blocco. Mi avevano detto che il latte materno ha lo stesso sapore del liquido amniotico in cui il piccolo cresce nella pancia. Quindi quando un bambino costretto all’incubatrice si alimenta con il latte della mamma si sente al sicuro e protetto come quando era nella pancia. Non so se è vero, ma è una delle ragioni che mi ha spinto a provarci.
Mi sono allora data da fare per poter dare anche solo un po’ del mio latte a Federico. Ho iniziato a stimolare il seno con massaggi e impacchi caldi, procedendo con una spremitura manuale; pensando solo al mio piccolo ho superato il dolore fisico, oltre a quello psicologico, che stavo provando. Dopo lo shock dei primi giorni riesco a raccogliere poche gocce di latte con il tiralatte, che mi hanno incoraggiata a chiedere e farmi portare. Anche poche gocce erano essenziali per avviare la produzione – mi ripetevo nei momenti più difficili. Sapevo che quel latte lì, il colostro, era il più prezioso per il mio piccolo – me lo aveva detto anche il primario della TIN. Finalmente, con le prime bottigline di latte piene, mi sono sentita la mamma di Federico, ero finalmente in grado di fare qualcosa per il mio guerriero.
Quel piccolo e semplice compito che mi ero data ha scandito le ore e i giorni trascorsi da Federico in ospedale, lontano dalla sua mamma, dal suo papà e dal suo fratellone. E a noi tutti ha consentito di sentirlo più vicino quando ancora non era tra le nostre braccia. Raccogliere il latte per lui era infatti diventato un momento di piacere e condivisione per tutti noi, e quando finalmente Federico ha lasciato l’incubatrice per passare in culletta e io ho potuto tenerlo tra le mie braccia è stata la vittoria più grande per la nostra famiglia.
Per me allattare Federico mentre si trovava ricoverato in TIN è stata una sfida. Sfidi il tuo corpo, che non è ancora pronto per produrre il latte, ma senti che tu sei più forte e che puoi riuscire quasi a piegarlo al tuo volere. Sfidi le persone che ti dicono che tanto anche con il latte artificiale cresce bene. Sì, certo, è vero, ma quando ero in TIN ho visto bimbi a cui dovevano cambiare latte in continuazione perché non era adeguato al loro piccolo organismo. Sfidi te stessa quando continui a tirare il latte anche se dopo qualche settimana vedi che non ne esce più molto, e ti senti a un passo dal crollo ma senti che il latte non è finito.
Ed è questo quello che io auguro alle neomamme che hanno affrontato simili difficoltà, consiglio di pensare positivo! È difficile, a volte molto difficile, ma la positività fa bene a noi e ai nostri piccoli guerrieri. Raccogliere il latte quando hai un bimbo in TIN è la sola cosa che nessuno può fare al tuo posto, è parte di quel legame unico e imprescindibile tra madre e figlio.