Dal 1988 la data dell’1 dicembre è dedicata ogni anno alla Giornata Mondiale contro l’AIDS: un’importante occasione di sensibilizzazione per prevenire l’infezione provocata dal virus Hiv e contrastare lo stigma che ancora colpisce persone affette da questa malattia.
Dal 1984 – anno in cui è stata per la prima volta identificata questa sindrome – ad oggi i progressi scientifici nel trattamento dell’AIDS e le leggi a tutela delle persone contagiate sono stati innumerevoli e si hanno sempre più strumenti per comprendere la condizione delle vittime. Nonostante questo, però, ogni anno nel mondo ci sono milioni di nuove diagnosi (1,7 milioni di nuovi casi nel 2018): la ragione del persistere di questa sindrome sta soprattutto nel fatto che a livello mondiale vi è ancora scarsa consapevolezza e conoscenza su come prevenirla.
L’infezione si è progressivamente diffusa nella popolazione generale e viene oggi acquisita nella stragrande maggioranza dei casi per via sessuale, con un costante aumento della percentuale di donne fra le nuove infezioni e fra i casi di malattia conclamata. Per molte di esse la diagnosi viene posta solo agli inizi di una gravidanza, quando tra gli esami di routine viene prescritto il conteggio degli anticorpi contro l’HIV. E’ questo ciò che registriamo, purtroppo, anche nel nostro lavoro a Pianoterra con le donne incinta seguite dal Programma 1000 Giorni.
Durante la gravidanza la trasmissione del virus può avvenire in vari momenti: nei mesi di gestazione, con il passaggio del virus al feto attraverso la placenta; durante il parto, naturale o cesareo, per il contatto diretto del feto con il sangue materno o con le secrezioni cervico-vaginali; in allattamento, con la presenza del virus nel latte materno. E’ questo quello che trasferiamo alle future mamme prese in carico con il progetto “We C.A.N.”, realizzato grazie ai fondi 8×1000 della Chiesa Valdese.
A giocare un ruolo fondamentale nella trasmissione verticale (ossia da mamma a figlio) è la carica virale, vale a dire la concentrazione di virus nel sangue: per questo una diagnosi precoce e l’accesso alle cure antiretrovirali riducono la possibilità di trasmissione di circa il 97% abbattendo la quantità di virus circolante fino a valori non rilevabili. Difatti, quando la carica virale è talmente bassa da essere considerata “non rilevabile” grazie alla terapia, il rischio di trasmissione del virus al partner e/o al nascituro diventa pressoché nullo.
Diverso è, invece, il caso in cui i farmaci antiretrovirali non riescono ad abbassare la viremia a livelli ritenuti “sicuri” per il feto: in questo caso la modalità di parto sarà un taglio cesareo di elezione eseguito prima della data presunta del parto (per evitare il rischio di rottura prematura delle membrane) e sarà fortemente consigliato di evitare l’allattamento al seno.
Pianoterra, interviene, nei casi di donne in gravidanza e neomamme sieropositive, anche orientandole ai Centri di Malattie Infettive presenti sul territorio per garantire la tempestività nelle cure e fornendo loro il latte in formula necessario dopo i primi 6 mesi di vita del neonato, quando termina la distribuzione gratuita da parte delle ASL, come sostegno alle famiglie indigenti che non hanno la possibilità di provvedere all’approvvigionamento di un elemento base per una sana crescita dei loro bambini.
Abbiamo imparato a Pianoterra che le giovani donne affette da HIV con cui lavoriamo trovano sempre diversi modi per mantenere segreto il loro stato di malattia: nascondono i farmaci e usano spesso un linguaggio velato per discutere di quella che chiamano semplicemente “l’infezione”. Queste strategie sono utilizzate come un modo per resistere allo stigma e mantenere un’identità separata dall’HIV, ma possono indurre a sentimenti di colpa e ansia, oltre che al mancato accesso ai propri diritti: dal latte in polvere gratuito alle visite specialistiche per i figli. Sebbene il silenzio e la segretezza siano spesso strategie a cui le donne con cui lavoriamo fanno ricorso per opporsi allo stigma che accompagna l’HIV, tutte le volte che con un serrato lavoro di equipe siamo riuscite a costruire un clima di ascolto e fiducia, che ha consentito loro di rivelare il loro stato d’animo e attivare risposte di supporto, queste donne hanno espresso estrema gratitudine riportando quanto fosse per loro benefico liberarsi di questo fardello.
“È così bello stare con qualcuno che sa. Non so come descriverlo; è così tranquillo”, ci dice con gli occhi pieni di emozione O.