L’impatto della pandemia di coronavirus sulle vite di tutti noi ha avuto tanti aspetti e sfaccettature, alcuni più visibili – la scomparsa di persone care colpite dal virus, le difficoltà economiche di chi ha visto la propria vita lavorativa stravolta o azzerata, il disagio di bambini e adolescenti tenuti lontani dalle scuole – altri meno visibili, ma non per questo meno gravi o urgenti.
Uno di questi è l’aumento della conflittualità intra-familiare e lo stimato aumento di casi di violenze domestiche, le cui vittime sono soprattutto donne e bambini. Una situazione tanto più grave ed esplosiva quanto più di difficile gestione, sia per problemi pregressi che per le difficoltà poste dalle indispensabili misure di distanziamento e isolamento prese a partire da marzo 2020 per arginare il contagio. E proprio al tema dell’osservazione e della gestione dei casi di violenza intra-familiare in contesti di povertà educativa minorile è stato dedicato il III Tavolo di coordinamento nazionale allargato del progetto nazionale NEST – Nido Educazione Servizi Territorio, svoltosi in modalità remota il 19 gennaio 2021.
Il progetto NEST – un intervento di contrasto alla povertà educativa minorile nelle città di Roma, Napoli, Bari e Milano attuato da un partenariato di 21 enti guidati da Pianoterra, con il sostegno dell’impresa sociale Con i bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile – si sta avviando alla sua conclusione. Dopo tre anni di attività sui territori, i suoi hub sono diventati, oltre che dei punti di riferimento per le famiglie che li hanno attraversati e “abitati”, anche degli osservatori privilegiati su una serie di fenomeni, non ultimo quello della violenza intra-familiare e sui suoi effetti sulle vite dei bambini tra 0 e 6 anni. Questo tavolo è stato un’occasione per confrontare le esperienze sul campo delle operatrici dei diversi hub con il punto di vista di altri stakeholder nelle istituzioni, nei servizi pubblici, nella sanità.
E’ soprattutto sul difficilissimo tema dell’osservazione degli effetti della violenza intra-familiare sui bambini di età inferiore ai 6 anni e sulla relativa presa in carico che ci si è confrontati, evidenziandone alcuni aspetti cruciali.
In primo luogo, la difficoltà nel rilevare casi di maltrattamento o violenza che riguardano bambini al di sotto dei 6 anni a meno che non ci siano segni evidenti di maltrattamento e abuso. Per incidere davvero in positivo nelle vite di questi bambini, sia in un’ottica di protezione, intervenendo il prima possibile per metterli a sicuro da situazioni rischiose, sia in un’ottica di riparazione, provando ove possibile, a lavorare con le famiglie per recuperare la relazione genitoriale, è fondamentale che tutte le istituzioni che intercettano una famiglia in cui c’è un minore a rischio migliorino la loro capacità di rilevare i segnali di violenza in tutte le sue sfumature. Di questo hanno parlato, in particolare, Maria Grazia Foschino Barbaro, psicologa presso l’ospedale “Giovanni XXIII” di Bari e responsabile scientifica del progetto GIADA (Gruppo Interdisciplinare Assistenza Donne e bambini Abusati), e Monica Micheli, psicoterapeuta ed ex giudice onorario del tribunale dei minori del comune di Roma.
Si è parlato molto, poi, del tema importantissimo dell’integrazione tra servizi pubblici e risorse del privato sociale per prendere in carico in modo davvero efficace le vittime di violenza sui minori e di violenza assistita dai minori (di cui sono vittime le madri). Un’integrazione che nella prassi è spesso attiva ed è la chiave di interventi mirati ed efficaci. Nel panorama generale si riscontrano tuttavia delle difficoltà di dialogo tra le varie agenzie istituzionali chiamate a intervenire (servizi sociali e socio-sanitari, scuole, servizi di neuropsichiatria infantile, organi giudiziari e di polizia, enti di garanzia) e gli enti del terzo settore che sono attivi sul territorio e che spesso integrano e completano le azioni delle prime. A questo tema sono stati dedicati gli interventi di Adriana Mazzarisi, assistente sociale del comune di Castellammare Grotte e giudice onorario del Tribunale dei minori di Bari, di Federico Sessa dell’Ufficio tutela infanzia del comune di Milano e di Marzia Grasso, assistente sociale del V Municipio del comune di Roma.
Da ultimo, ma non per importanza, si è parlato del tema spinoso della carenza di formazione nel personale medico-sanitario che, pur avendo una posizione di osservazione privilegiata, spesso non riesce a individuare in modo corretto i segnali di situazioni di maltrattamenti e abusi, soprattutto se riguardano bambini molto piccoli. Una mancata segnalazione in età precoce determina invariabilmente l’emergere di quello stesso caso più avanti, quando gli interventi che pure vengono messi in campo rischiano di essere meno efficaci perché il minore è già stato esposto a situazioni di tossicità e maltrattamento negli anni in cui si sono andate formando le basi del suo sviluppo psico-fisico (i preziosissimi primi 1000 giorni di vita). In particolare, della figura del pediatra e dell’importanza della sua formazione hanno parlato i dottoriCostantino Panza e Carla Berardi, dell’Associazione culturale pediatri, autori del volume “Maltrattamento all’infanzia. Manuale per gli operatori dell’area pediatrica”.
Le esperienze concrete delle operatrici dei diversi hub NEST hanno poi dialogato con queste sollecitazioni, approfondendole e interrogandole a partire da un lavoro sul campo che viene condotto quotidianamente assieme alle famiglie prese in carico.
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