DAD, un acronimo che è diventato un incubo per bambini, adolescenti e genitori da quando, lo scorso marzo, le scuole sono state chiuse a causa della pandemia di covid-19. I dispositivi elettronici, tanto criticati sia come strumento di intrattenimento dei più piccoli che come distrazione e “alienazione” per i più grandi, sono diventati improvvisamente preziosissimi, indispensabili canali per consentire il proseguimento dell’azione educativa.
Sull’efficacia della didattica a distanza e sugli effetti di questo sconvolgimento nel percorso educativo di bambini e adolescenti si è detto tanto. Oggi, nella giornata dedicata dalla Commissione Europea alla sicurezza in rete (Safer Internet Day), vi raccontiamo cosa ha significato per le nostre attività educative l’irruzione dei dispositivi digitali connessi alla rete nella quotidianità dei minori che frequentano il nostro centro educativo alla Sanità.
A preoccuparci è stata, sin dall’inizio del lockdown, una constatazione: per quanto diffusi pensiamo possano essere i dispositivi digitali e per quanto pervasiva possiamo ritenere la comunicazione online, nel nostro paese è presente un profondo divario digitale tra chi dispone materialmente di questi dispositivi e di un accesso illimitato a una buona connessione e chi invece no. Un divario digitale che, con l’avvento della DAD, è diventato una gravissima forma di discriminazione e di mancata tutela del diritto allo studio (i dati, drammatici, li troviamo nel report “Disuguaglianze digitali” dell’Osservatorio Povertà Educativa promosso dall’impresa sociale Con i bambini).
Consapevoli di questo, abbiamo risposto anche a questa emergenza seguendo la nostra metodologia di intervento: tamponare un bisogno immediato attraverso un sostegno materiale e avviare al contempo percorsi di empowerment e crescita. La fornitura alle famiglie più in difficoltà di dispositivi elettronici e abbonamenti di traffico dati è stato perciò il primo passo, a cui ha fatto seguito il supporto ai genitori nella didattica a distanza e l’ideazione di azioni educative destinate soprattutto ai ragazzi e alle ragazze delle scuole medie e superiori e finalizzate a trasmettere gli strumenti necessari per un uso non passivo dei dispositivi digitali, della rete e dei social media.
Con adolescenti costretti a trascorrere ore e ore davanti a una telecamera per seguire le lezioni abbiamo lavorato molto sui concetti di identità digitale e privacy, per offrire loro degli strumenti utili a decidere in modo più consapevole come stare online e cosa scegliere di condividere. Accantonando un approccio negativo e “terroristico”, abbiamo lavorato per stimolare nei ragazzi la formazione di “filtri personali”, da affiancare a quelli tecnologici per proteggersi dagli rischi che si corrono online (dal cyberbullismo alle molestie a sfondo sessuale, dalle informazioni false o inaccurate alla sovraesposizione a contenuti pornografici, ecc.)
Abbiamo poi affrontato in forme laboratoriali anche il tema attualissimo dell’affidabilità dell’informazione online. Partendo da un percorso di media literacy promosso da Save the Children in collaborazione con il CREMIT – Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media all’Innovazione e alla Tecnologia abbiamo lavorato sui temi delle fake news e della diffusione dei discorsi di odio e dei messaggi estremisti. Un percorso che è stato arricchito da una prospettiva “hacker” con l’iniziativa “Open the box”, promossa da Dataninja, grazie alla quale educatori e ragazzi hanno “smontato” informazioni, immagini, documenti trovati in rete per provare a capirne il funzionamento e produrre contenuti diversi.
Sono molte le sfide che ci attendono nell’immediato futuro, ma intravediamo anche un’opportunità: quella di fornire a bambini, adolescenti e – cosa nient’affatto secondaria – ai loro genitori degli strumenti più adeguati per muoversi e orientarsi in modo sicuro in un mondo iperconnesso, pieno di rischi ma anche di tante occasioni di confronto, crescita e arricchimento.