Dedichiamo il primo approfondimento sui servizi educativi per la fascia 0-3 anni alla città di Napoli, dove per tre anni abbiamo gestito un hub del progetto NEST, un’iniziativa di progettazione partecipata attuato in quattro città italiane grazie al sostegno dell’impresa sociale Con i bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile. Ad accompagnarci in questa riflessione Rossella Mancino, psicologa e psicoterapeuta di Pianoterra.
I dati relativi alla disponibilità di posti negli asili nido per l’area metropolitana di Napoli sono molto bassi (parliamo di 13,5 posti per ogni 100 bambini 0-2 anni), lontanissimi dagli obiettivi europei. Napoli è una città del sud, e spesso quando si parla di asili nido nelle aree meridionali permane il luogo comune secondo cui prevale l’idea che i bambini così piccoli stiano meglio in famiglia e che quindi la mancanza di offerta è in parte determinata dalla mancanza di domanda. Cosa c’è di vero in questa convinzione? Qual è l’esperienza diretta maturata nel lavoro di Pianoterra con le famiglie del quartiere Materdei nel progetto NEST?
Partiamo con il confermare in modo provocatorio un dato: è vero che, quando si parla di asili nido, in città come Napoli – e nelle regioni meridionali in generale – esiste un problema di domanda, oltre che di offerta. Non più tardi di quest’estate, ad esempio, ne è stato aperto uno in un quartiere densamente popolato e sulla carta dunque molto necessario, che però non ha avuto iscrizioni. Sicuramente è da tenere in considerazione il dato “culturale” che vuole le famiglie meridionali – spesso allargate – più propense a tenere in casa i bambini piccoli e ritardare l’ingresso a scuola. Il nostro compito – nostro e delle istituzioni in realtà – è però andare oltre il dato e chiederci perché questo accade. Esistono motivazioni più profonde e strutturali rispetto al solo dato “culturale”, legato in modo un po’ superficiale e stereotipato al modello di famiglia prevalente.
Già da molti anni si parla di un sistema integrato educativo che vada da 0 a 6 anni, superando cioè la distinzione tra la fascia 0-3, corrispondente all’asilo nido e comprendente bambini da “accudire”, e la fascia 3-6, in cui rientra la scuola dell’infanzia, a tutti gli effetti vista nel suo ruolo di servizio educativo. In realtà la dicotomia tra il sistema assistenziale, in cui rientrano i servizi per la fascia 0-3 anni, e quello educativo, in cui rientrano invece i servizi previsti per la fascia 3-6, è ancora fortissima. Questa dicotomia alimenta moltissimo il dato culturale a cui accennavamo sopra: la scuola vera e propria – il servizio cioè a cui si riconosce una funzione educativa – è solo quella dell’obbligo, o al limite la scuola dell’infanzia (che non a caso si chiama “scuola”), mentre il nido è un servizio a cui ricorre solo chi proprio non può farne a meno per esigenze lavorative o chi ha risorse culturali tali da comprendere che anche il nido può offrire ai bambini strumenti educativi importanti per la loro crescita. Come scardinare questa dicotomia, e con essa l’idea che la scuola sia importante solo a partire da una certa età?
Da un punto di vista “micro”, il progetto NEST ci ha dato delle indicazioni molto chiare e nette: lavorare con i genitori, renderli oggetto di una vera e propria campagna di sensibilizzazione sull’importanza dell’educazione precoce, è lo strumento migliore per disinnescare l’immagine del nido come “parcheggio per i bambini” e portarli a rendersi conto di quanto sia invece un servizio essenziale dal punto di vista educativo. Nei nostri servizi lo chiamiamo patto educativo, e ha l’obiettivo di far partecipare anche i genitori all’azione educativa sui bambini, rafforzando da un lato le loro competenze genitoriali e amplificando dall’altro gli effetti positivi e duraturi dell’azione educativa. Questo lavoro dovrebbe iniziare ancora prima del nido, coinvolgendo ad esempio i servizi socio-sanitari (pensiamo ai punti nascita, agli studi dei pediatri) nella sensibilizzazione dei genitori sull’importanza di offrire ai propri figli anche opportunità educative precoci oltre all’accudimento fisico ed emotivo.
Trovare delle modalità per mettere a sistema questo approccio, senza delegarlo alla buona volontà di singoli operatori o di singoli comuni virtuosi, sarebbe importantissimo. Per farlo è chiaramente necessario un passaggio a un livello “macro”, che coinvolga tutte le istituzioni. Un primo passo per attuare quell’integrazione dei servizi educativi 0-6 anni che finora è rimasta sulla carta potrebbe essere una riorganizzazione complessiva che riconduca gli asili nido nell’alveo del sistema educativo a cui appartengono i cicli scolastici successivi, sottraendoli alla gestione comunale, fonte di forti disomogeneità nell’erogazione dei servizi. Pensiamo ad esempio al problema dei comuni in dissesto finanziario – e al sud ce ne sono moltissimi: a fronte di tantissime urgenze, spesso le risorse per i nidi vengono allocate altrove, a tamponare emergenze, anche alla luce della percepita scarsità di domanda per questo servizio.
C’è poi chiaramente la questione dei costi di questi servizi: tralasciando il caso dei nidi privati, anche i nidi comunali hanno delle tariffe che spesso sono molto alte tenuto conto del fatto che al nido possono di fatto accedere solo bambini i cui entrambi i genitori lavorano, dunque con ISEE non necessariamente bassissimi. Molte famiglie si trovano davanti alla scelta obbligata di tenere i figli a casa rinunciando a lavorare perché il nido sarebbe insostenibile. Anche questo impedisce alle famiglie di affidarsi e affidare i propri figli a un servizio che dovrebbe essere invece percepito e presentato come essenziale e di conseguenza dovrebbe essere se non gratuito, comunque molto più accessibile.
Includere il nido in un sistema educativo davvero integrato con i cicli scolastici successivi è, infine, fondamentale per poter individuare precocemente difficoltà, disagi, problemi di varia natura e intervenire prima che gli effetti possano accumularsi e sedimentarsi. Avviare sin dalla fascia 0-3 un lavoro specifico con ciascun bambino e seguirlo nella crescita significa facilitare per questi bambini il passaggio ai cicli successivi e l’ingresso nella scuola dell’obbligo.
Tantissimo insomma il lavoro da fare, con un orizzonte che non deve più guardare al breve periodo ma ragionare in termini di generazioni. Sulla carta è quanto ci si propone di fare nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, in cui non a caso di asili nido si parla nella sezione dedicata all’istruzione, che si vorrebbe integrata, appunto, “dall’asilo nido all’università”. Le esperienze da cui trarre ispirazione e su cui costruire non mancano certo. NEST ne è un (micro) esempio.