Con l’arrivo della pandemia in Italia a marzo 2020 abbiamo dovuto rimodulare tutti i nostri servizi, introducendo nuovi modi per stare accanto ai genitori e ai bambini che seguiamo e di collaborare con i diversi attori territoriali con i quali, in rete, prendiamo in carico le famiglie più vulnerabili. Un servizio in particolare è stato radicalmente ripensato nel nuovo contesto pandemico: lo sportello Fiocchi in Ospedale, programma nazionale di Save the Children Italia che Pianoterra realizza nell’ospedale Cardarelli di Napoli.
Presenti tutti i giorni in una stanza dedicata al progetto, prima della pandemia le nostre operatrici – una psicologa, un’assistente sociale e un’educatrice perinatale – incontravano e seguivano ogni giorno le donne in gravidanza o le neo-mamme e i neo-papà sia durante il ricovero nel reparto di Ginecologia e Ostetricia che nei casi di ricovero dei neonati nel reparto di Terapia Intensiva Neonatale. Questa prossimità nella quotidianità, che consentiva di intercettare numerose famiglie a rischio, si è bruscamente interrotta quando, a marzo 2020, l’accesso all’ospedale è stato interdetto agli operatori esterni in accordo con le norme per contenere il contagio di Covid-19.
Anche i servizi dello sportello sono “migrati” online, con il ricorso a telefonate e videotelefonate individuali o di gruppo e l’utilizzo della pagina Facebook del progetto per divulgare informazioni, consigli, video-tutorial ecc. Appena possibile abbiamo ripreso gli incontri individuali o in piccoli gruppi spostandoli nella nostra sede nel centro storico di Napoli e abbiamo continuato a intercettare donne in gravidanza o neo-genitori anche grazie alla continua collaborazione con gli operatori sanitari del Cardarelli che, utilizzando o illustrando alle famiglie incontrate i materiali informativi sui servizi offerti dallo sportello anche in remoto, hanno continuato a fare affidamento sul nostro supporto segnalandoci famiglie che necessitavano di un accompagnamento. E’ passato però oltre un anno e mezzo prima di poter rientrare di persona in ospedale, un periodo di tempo lunghissimo durante il quale quella prossimità e quotidianità di presenza fianco a fianco alle neo-mamme e ai neo-papà, ma anche agli operatori sanitari dei reparti con cui collaboriamo, si sono ridotte, sostituite da un lavoro più mediato.
Lo scorso novembre finalmente ci è stato possibile rientrare in ospedale. Un primo, piccolo passo verso una normalizzazione delle attività dello sportello che tuttavia ancora appare lontana. Siamo infatti presenti nella nostra stanza ogni secondo e quarto mercoledì del mese, in occasione della prima visita post-dimissioni dall’unità di Neonatologia dell’ospedale. Pur non potendo accedere ai reparti (di Ostetricia e Neonatologia – Nido e T.I.N.), abbiamo comunque la possibilità di incontrare i neo-genitori in una fase molto delicata, quella del rientro a casa con un bambino che ha richiesto cure particolari, in cui difficoltà, spaesamento e fatica possono essere più difficili da affrontare. Rientrare dopo 22 mesi nella “nostra” stanza ci ha dato una grande emozione e il personale medico-sanitario ci ha riaccolto a braccia aperte, con il desiderio di ricostruire una modalità di lavoro condivisa per sostenere al meglio le famiglie più vulnerabili. Ci ha fatto un certo effetto vedere quanto sia cambiato il reparto e – più in generale – la vita dell’ospedale in questi quasi due anni: al brulichio spesso anche caotico che incontravamo ad esempio in occasione delle visite ambulatoriali, con tanti neo-genitori in attesa del loro turno con port-enfant e carrozzine al seguito, si è sostituita una routine fatta di appuntamenti cadenzati e scaglionati, procedure da rispettare, espressioni nascoste dai dispositivi di protezione. Nonostante ciò la possibilità di incontrare di persona questi neo-genitori è per noi preziosa e abbiamo visto molte mamme accogliere con piacere l’invito a entrare nella nostra stanza, sedersi sulla poltroncina dedicata all’allattamento e fermarsi un po’, esplicitando così il bisogno di uno spazio di normalità in cui raccontare e raccontarsi. D’altro canto proprio questo bisogno di raccontare le proprie difficoltà e il proprio smarrimento è stato tra quelli emersi con più forza in questo lungo periodo di pandemia, anche nei colloqui da remoto. Un bisogno che naturalmente era presente anche prima, ma che adesso sembra esprimersi più spesso, con meno reticenza o imbarazzo.
I prossimi mesi saranno ricchi di sfide per dare vita a nuove modalità di collaborazione tra il servizio di Fiocchi in Ospedale e l’ospedale Cardarelli che lo ospita. Una collaborazione che, come sottolineava qualche tempo fa la dott.ssa Maria Gabriella De Luca, direttrice dell’U.O.C. Terapia Intensiva Neonatale del Cardarelli, non può che trarre giovamento da una ritrovata quotidianità.