Creare uno spazio di ascolto accogliente, sicuro, protetto e il più possibile libero da giudizi per una donna che arriva a Pianoterra, con il suo carico di fragilità, è il primo e più importante tassello nella costruzione di una relazione di cura e fiducia che sarà alla base di qualsiasi forma di supporto e accompagnamento potremo offrire a lei e ai suoi figli.
È importante e non scontato. Se infatti le donne devono faticare molto di più a tutti i livelli e in tutti i contesti per trovare ascolto alle loro istanze, quando al pregiudizio di genere si intersecano altre forme di discriminazione e marginalizzazione – dovute all’appartenenza etnico-culturale o religiosa, alle condizioni socio-economiche, al livello di istruzione – vivono la sensazione di essere invisibili, irrilevanti, impotenti. E spesso questa non è solo una sensazione.
E invece attrezzarci sempre meglio per riuscire ad accogliere con la giusta attenzione le donne più provate e vulnerabili, assieme ai loro bambini, è una costante del percorso di crescita professionale delle nostre operatrici in tutte le discipline che compongono le équipe di intervento. E uno degli ambiti in cui in questi ultimi anni abbiamo avvertito più sollecitazioni è stato quello, difficile e urgente, della violenza di genere e della correlata violenza assistita.
Negli ultimi tre anni abbiamo infatti registrato, tra le donne che seguiamo, un incremento rilevante di casi di violenza di genere portati alla nostra attenzione o intercettati da nostre operatrici: casi che riguardano le più svariate manifestazioni di questo fenomeno – dalla violenza psicologica o economica alle forme più gravi di maltrattamenti fisici – con un impatto pesante sulla vita delle donne e dei loro bambini. Questo incremento di casi ci ha condotto ad avviare una riflessione sulle possibili ragioni e sulle risposte più adeguate da offrire.
Abbiamo letto molto di quanto la pandemia abbia determinato un aumento generalizzato dei casi di violenza di genere e violenza assistita e le ragioni su cui si è più spesso puntato il dito – convivenza in spazi ridotti con partner violenti o abusanti, tensioni rese più estreme dal peggioramento drastico delle condizioni economiche – sono le stesse che abbiamo avuto modo di rilevare noi nei mesi più difficili dell’emergenza pandemica.
Per far emergere queste situazioni, però, non è sufficiente che si verifichino. Occorre che si crei un contesto in grado di coglierle e accoglierle, di dare loro spazio e peso. Occorre, cioè, che si crei un contesto di ascolto in cui chi parla abbia innanzitutto la capacità e la possibilità di articolare un discorso e in secondo luogo si trovi di fronte qualcuno pronto ad ascoltare e a raccogliere quel racconto. Da questo punto di vista un ruolo importante lo ha giocato, negli ultimi anni, la penetrazione più ampia del tema della violenza di genere a tutti i livelli del discorso pubblico, da quelli più istituzionali a quelli più divulgativi e “pop”, non solo con iniziative simboliche, ma anche con provvedimenti legislativi e, più in generale, con il moltiplicarsi di iniziative di informazione e sensibilizzazione a tutti i livelli.
Queste considerazioni si sono riverberate anche, naturalmente, nel nostro lavoro. Lavorando con famiglie segnate da forte fragilità, le nostre operatrici si sono sempre confrontate con contesti a rischio di violenza. Spesso però questa dimensione specifica del bisogno portato da una donna che seguivamo restava sullo sfondo, faticava a emergere. Oggi registriamo una maggiore emersione di situazioni di questo tipo e le ragioni possono essere sicuramente ricondotte a quanto già detto, ma anche alla scelta della nostra associazione di investire esplicitamente in attività di prevenzione della violenza di genere e della violenza assistita. Grazie a progettualità dedicate – ad esempio il progetto “Inviolabili” – che comprendono importanti e corposi percorsi di formazione del personale e un incessante lavoro di rete sul territorio, ma anche al percorso di elaborazione di una policy interna per la tutela dei minori a cui abbiamo lavorato nell’ultimo anno, è come se – per dirla con le parole di Chiara D’Andrea, assistente sociale e coordinatrice per Pianoterra del progetto Inviolabili – avessimo “inforcato nuove lenti” per osservare le donne e i bambini che sosteniamo. Lenti più affinate che ci consentono di cogliere segnali che in precedenza potevano passare inosservati e di offrire un supporto più puntuale e calibrato.
Investire sulla prevenzione della violenza di genere si è tradotto inoltre nella scelta di includere questo tema in tutte le attività di sostegno alla genitorialità e di contrasto precoce alla povertà educativa, a seconda dei contesti: dedichiamo incontri di gruppo ad aspetti specifici (es. la violenza finanziaria, gli effetti della violenza assistita, numeri verdi a cui rivolgersi se a rischio, ecc.), facciamo riferimento a queste tematiche tutte le volte che se ne presenta l’occasione, puntiamo moltissimo sulla capacità delle donne di individuare campanelli di allarme e attivarsi prima che una situazione possa diventare davvero pericolosa, accompagniamo e seguiamo di persona le donne che scelgono di denunciare e chiedono di essere protette assieme ai loro figli.
Questa attivazione viene riconosciuta dalle donne che supportiamo: accolte, ascoltate e viste nelle loro difficoltà e reticenze, oggi si affidano di più e chiedono sempre più spesso di essere accompagnate nel percorso difficile e doloroso che comporta la presa di coscienza di essere vittime di maltrattamenti e abusi. Ed è proprio lo spazio dell’ascolto quello in cui questa relazione di fiducia e di cura può prendere forma e diventare uno strumento di autodeterminazione.