Tra la descrizione di donne incinte come supereroine in grado di scalare montagne – o di lavorare fino a un minuto prima di entrare in sala parto – e quella di corpi fragili quasi privi volontà, da monitorare, curare, tenere sotto controllo, esiste la realtà, fatta di donne con esperienze diverse, che alla gravidanza e al parto arrivano percorrendo strade diverse, ma che sono spesso accomunate da un’esperienza comune: quella di non essere viste e ascoltate, nonostante si trovino a vivere una fase dirompente della loro vita, destinata a segnare uno spartiacque tra un “prima” e un “dopo”.
Quella delle donne in gravidanza è una delle categorie cui universalmente viene attribuito l’aggettivo di “vulnerabile”. Eppure, la sensazione che abbiamo accompagnando ogni giorno tante donne nelle fasi che dal concepimento portano al parto e alle prime fasi di vita dei loro bambini, è che le reali dimensioni della vulnerabilità di una donna nel processo che la porta a diventare madre sono davvero poco percepite e comprese, persino tra chi è chiamato a prendersene cura. Questo ha degli effetti concreti sulla salute e sul benessere delle donne, perché può accadere di non prestare la dovuta attenzione a ciò di cui avrebbero bisogno per stare bene e a non dare il giusto peso ai possibili campanelli di allarme prima che questa vulnerabilità si traduca in rischio per la loro salute e per il sano sviluppo del bambino.
Le gravidanze però non sono tutte uguali: possono arrivare al momento giusto, troppo presto o tropo tardi, possono essere cercate e trovate senza difficoltà o desiderate e raggiunte dopo molti tentativi, possono essere programmate o no, possono innestarsi su una condizione di salute o provocarne un peggioramento, possono avvenire senza che si abbia un partner stabile o – peggio – in presenza di un partner abusante, possono essere frutto di violenze o traumi, possono avvenire in un paese straniero, possono verificarsi in condizioni di precarietà economica e aggravarla ulteriormente.
Ciascuno di questi fattori allude a una specifica dimensione della condizione di vulnerabilità di una donna nel processo genitoriale. Vulnerabilità psicologica ed emotiva, prima di tutto: i percorsi che conducono alla gravidanza possono essere diversissimi tra loro, ma anche nei casi più rosei, quelli in cui non presenta problematicità ed è rappresentata positivamente nella mente di una donna, la gravidanza costituisce comunque un periodo di grandi cambiamenti – a partire da quelli fisici, passando per quelli relazionali all’interno della coppia – a cui può essere difficile adattarsi e in cui emozioni positive e negative, gioie e paure, speranze e delusioni si alternano a ritmi serrati. Vulnerabilità socio-economica: spesso la condizione della gravidanza coincide con un aumento della precarietà lavorativa, con conseguente peggioramento delle condizioni economiche proprio in un momento in cui al contrario sarebbe importante disporre di risorse aggiuntive e con una riduzione dell’autonomia. Vulnerabilità sanitaria: dall’iper-medicalizzazione al mancato accesso agli screening prenatali di base, i rischi di ricevere cure inadeguate in una fase in cui il rapporto con i servizi socio-sanitari diventa – o dovrebbe diventare – costante è elevato. Per una donna che vive la gravidanza in un contesto di migrazione, poi, a tutto questo si aggiungono problematicità specifiche, legate alla solitudine e all’isolamento sperimentati in un paese straniero, agli ostacoli linguistici nell’accesso ai servizi di cura, alla difficoltà di conciliare pratiche e tradizioni diverse legate alla cura di sé e alla genitorialità.
Questi fattori sono spesso intrecciati tra loro e tendono a determinare una spirale negativa in presenza di condizioni pregresse di fragilità e precarietà. Per una donna che è già in sofferenza psico-emotiva, che è già povera o a rischio di povertà, che è già sola e isolata in un paese non suo, che è già vittima di una relazione tossica, la gravidanza può rappresentare un momento in cui la situazione precipita e i rischi per la sua salute o per quella del bambino che nascerà diventano molto alti.
Eppure sappiamo anche che la gravidanza, proprio per il suo portato di cambiamento radicale e ineludibile, può anche innescare una spinta a far fronte alle difficoltà anche nelle situazioni di maggiore precarietà. Affinché questo accada, però, è fondamentale che una donna venga accolta e ascoltata nelle sue difficoltà e fragilità, incoraggiata nelle sue risorse e competenze, alleviata dalle urgenze più incalzanti, accompagnata e non lasciata sola con il suo bambino.
Sono esigenze in cui tutte le donne che hanno vissuto l’esperienza della maternità si riconoscono, a prescindere dalle loro condizioni e dei contesti in cui vivono. E proprio su queste esigenze abbiamo imperniato il nostro programma 1000 Giorni, un modello integrato di supporto con cui vogliamo sostenere le competenze di ciascuna donna, accogliendo i bisogni legati alle specifiche difficoltà e problematiche espresse nel momento della nascita di un figlio, cercando di alleviare il senso di solitudine e facilitando la costruzione di reti sociali a protezione della futura mamma.
Questo post fa parte della serie “Nessuna madre dovrebbe restare sola“.