Anche quando si presenta come il classico “lieto evento”, l’arrivo di un bambino in una coppia innesca comunque dei cambiamenti, previsti o non previsti, che in alcuni casi possono diventare delle vere e proprie “bombe”. Stanchezza, insicurezza, dubbi e timori sono strettamente intrecciati a gioia, tenerezza, speranza e senso di appagamento, in una girandola di emozioni che può rischiare di travolgere.
Sono queste le riflessioni condivise con noi da Amalia, una neo-mamma di Napoli che, dopo l’arrivo della piccola Greta, ha temuto che rabbia e stanchezza avrebbero potuto essere fatali per il suo legame con il suo compagno.
La notizia della gravidanza ci ha colpiti come un fulmine a ciel sereno: non ce l’aspettavamo, ma un momento dopo avevamo già iniziato a progettare la nostra vita a tre, al tempo stesso impauriti e felici.
Per nove mesi io e il mio compagno abbiamo fatto tutto assieme: le visite di controllo, le analisi, il corso pre-parto, gli acquisti per la cameretta… io mi sentivo accompagnata, quando le paure e le ansie sembrava dovessero travolgermi c’era sempre lui pronto a rassicurarmi. Anche durante il parto la sua presenza è stata importante, nei momenti in cui pensavo di non farcela stringevo la sua mano e questo mi ha aiutato tantissimo.
Tornati a casa, per qualche giorno viviamo in una specie di bolla sospesa: io, lui e Greta, quasi non ci accorgevamo dell’alternarsi del giorno e della notte, il tempo era scandito dalle esigenze della bambina, tutto il resto era sullo sfondo.
Poi dieci giorno dopo il brusco risveglio: il mio compagno deve tornare a lavoro, i giorni di congedo di paternità a cui ha diritto sono finiti e il suo datore di lavoro scalpita per riaverlo in ufficio. Io il mio lavoro precario lo avevo già perso prima della nascita di Greta. Contratto non rinnovato, abbiamo trovato altro, grazie e auguri. Perciò il lavoro del mio compagno è l’unica fonte di entrate per noi.
Questo continuo a ripetermi quando la solitudine e il panico iniziano a farsi sentire, subito, già dopo pochi giorni che il tuo tran tran quotidiano riprende come prima. Si alza, si fa la doccia, si prepara, fa colazione, si assicura che io e Greta “stiamo bene” e poi si chiude la porta alle spalle, e io resto da sola per quella che mi sembra una giornata infinita. Le lancette dell’orologio sembrano inchiodate, io sono sempre più stanca perché Greta non dorme e non riesce ad attaccarsi bene al seno, perciò piange spesso, mi sembra pianga troppo, e questo mi fa andare nel panico. In qualche modo arrivo alla fine della giornata, non vedo l’ora di sentire la chiave girare nella serratura, sono felice quando sento quel rumore, ma poi appena lui entra e chiede come sto, com’è stata la mia giornata, e magari prende in braccio la piccola, spesso mi sento travolgere dalla rabbia e rispondo male.
Ma che ne sa lui? Lui esce, va al lavoro, poi la sera torna e vorrebbe trovarmi felice e sorridente, prendersi solo il bello dell’essere genitore e lasciare a me le paure, i dubbi, la stanchezza.
Non lo fa apposta, non è colpa sua, al lavoro non può chiedere nulla, non ha diritto a nulla, e se nemmeno lui lavora come facciamo? Tutte queste cose le so, me le ripeto sempre, le ripeto anche a lui quando cerco di calmarmi, ma non posso farci niente, quando resto sola tutto ricomincia.
I primi tempi, quando non uscivo di casa, sembrava impossibile farcela. Poi a Pianoterra ho iniziato a ricevere aiuto: ho avuto un supporto per l’allattamento, ma soprattutto ho potuto parlare di questa mia rabbia, e trovare chi mi ascoltava e mi capiva. E così ho scoperto di non essere strana, di non essere l’unica a sentirsi così, di non essere sbagliata. Durante gli incontri di gruppo c’era chi stava peggio di me, e chi stava meglio, chi era un po’ più avanti, chi aveva già avuto altri figli e mi diceva che poi piano piano migliora…
Spero sia così. Per adesso le mie giornate sono diventate un po’ meno caotiche, sto imparando a conoscere la mia Greta, e anche me stessa e il suo papà. Serve tempo e pazienza, ma “piano piano migliora”…
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