Avere a che fare con la burocrazia del nostro sistema sanitario può mettere a dura prova chiunque, lo sappiamo bene. Ma proviamo a metterci nei panni di una mamma non italiana alle prese con un figlio con bisogni speciali: in questo caso gli ostacoli possono essere insormontabili, e ad andarci di mezzo è il diritto alla salute, che nel nostro paese è sancito dalla Costituzione.
Oggi vi raccontiamo la storia di Nadesha e della sua lotta per riuscire a comunicare e a farsi capire da chi avrebbe dovuto aiutare il suo piccolo Matthew. Ce l’ha raccontata la nostra assistente sociale Brunella, che ha accompagnato Nadesha in questo lungo e complicato percorso.
Nadesha è nata in Sri Lanka e si è trasferita in Italia molti anni fa con suo marito Ali, in cerca di una vita migliore. Dopo essersi stabiliti in Italia e aver trovato un lavoro, decidono di creare una famiglia. La gravidanza non tarda ad arrivare e, dopo nove mesi trascorsi senza difficoltà ma solo con grande gioia, nasce finalmente Matthew.
Fino ai 3 anni circa Matthew è un bimbo sano e sereno. Poi però la madre inizia a notare che c’è qualcosa di diverso in lui. Matthew non parla come i suoi coetanei, comunica in un modo tutto suo, e non gli piacciono tutti i giochi, ma solo alcuni a cui si dedica in maniera assorta. Nadesha ne parla con Ali e anche con i parenti nel suo paese di origine, ma tutti minimizzano le sue preoccupazioni. Decide quindi di confidarsi con un’amica che le suggerisce di andare dal pediatra di suo figlio.
Sembrerebbe la scelta più ovvia, ma per Nadesha non è così. Accedere allo studio del pediatra, infatti, non è mai stato semplice. Il pediatra riceve solo su appuntamento telefonico, ma per Nadesha, che ha una conoscenza molto basica della lingua italiana, prendere appuntamento al telefono è molto complicato. Il risultato è che per tre anni il pediatra ha visto Matthew solo in occasione dei bilanci di crescita e per qualche febbre. Durante queste visite, poi, la comunicazione è difficile, Nadesha ha la sensazione di non capire mai niente, si appunta le cose più importanti e finché Matthew sta bene tanto le basta.
Adesso però deve farsi coraggio. Riesce a fissare un appuntamento. Durante la visita il pediatra non sembra rilevare nulla di strano in Matthew e questo rincuora molto Nadesha, ma al tempo stesso le lascia molti dubbi e paure.
“Avrò capito tutto quello che mi ha detto? Sarò riuscita a spiegare quel comportamento del bambino che mi preoccupa tanto?”.
Il tempo passa e la situazione non migliora. Adesso Ali non minimizza più e condivide le preoccupazioni di Nadesha, tanto più che anche l’insegnante di Matthew convoca i due genitori per parlare delle difficoltà del bambino in classe: il piccolo è sempre più silenzioso e distante e non riesce ad interagire con gli altri bambini. L’insegnante suggerisce ai due genitori di tornare dal pediatra e dà loro una nota da consegnare al medico, con su scritto: “si consiglia visita neuropsichiatrica infantile”. Solo con una visita specialistica sarebbe stato possibile inquadrare la condizione del bambino e fornirgli un sostegno adeguato in classe. Ottenuta la prescrizione dal pediatra, la coppia si reca in una farmacia cittadina e riesce a prenotare la visita presso un ambulatorio ospedaliero, che però non risolve nulla. Il servizio interpellato infatti non era quello idoneo ad avviare un percorso diagnostico ed eventualmente di riabilitazione per Matthew. Sembra un incubo, un labirinto senza fine. Ali e Nadesha sono sempre più preoccupati per il loro bambino, si sentono impotenti e attorno a loro sentono solo muri di indicazioni e parole incomprensibili.
Di fronte alle difficoltà del bambino, prossimo ormai alla prima classe elementare, e al disorientamento dei suoi genitori, la scuola finalmente si mette in moto per chiedere un supporto per Matthew e dare voce alla sua mamma e al suo papà, attivando i servizi sociali, la ASL e anche Pianoterra.
Nadesha ha messo piede a Pianoterra ormai da un anno, e da allora sono stati fatti molti passi in avanti: Matthew ha ricevuto una diagnosi adeguata che gli ha consentito di poter usufruire di diversi servizi e benefici a cui hanno diritto i bambini con disabilità in Italia. Dopo oltre un anno di attesa, Matthew ha iniziato a fare psicomotricità e sta aspettando di avviare la logopedia. I tempi di attesa nei centri riabilitazione sono lunghi per tutti, ma adesso Nadesha ha la finalmente la sensazione di essere riuscita a “fare qualcosa” per aiutare il figlio. Il senso di impotenza che la schiacciava è sparito, lasciando il posto a una grande determinazione. Per “attrezzarsi” al meglio, si è anche impegnata a seguire il nostro corso di italiano, segue con scrupolo tutte le terapie consigliate per Matthew e collabora con insegnanti e altri operatori nell’assistenza al bambino. Anche se il percorso è stato difficile, Nadesha sa che il suo amore e la sua dedizione sono fondamentali per aiutare Matthew a superare le sue sfide e a vivere una vita felice e soddisfacente.
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