Raccontare il periodo della gravidanza e della maternità per una donna può non essere semplice, soprattutto se questo racconto include anche emozioni contrastanti o negative, ostacoli e difficoltà che mettono in discussione il diktat che vuole una mamma felice e gioiosa a prescindere, stanca forse, ma interamente appagata dalla mera presenza del suo piccolo tra le braccia. Eppure tutte le mamme – e anche le persone che con un po’ di empatia stanno loro accanto – sanno che questa è una fase delicata, in cui gioia e senso di sopraffazione, serenità e ansie si possono alternare senza sosta e influire sulla relazione che si crea con il bambino.
Abbiamo chiesto a Valentina, ostetrica del nostro programma 1000 Giorni, di parlarci di questo aspetto meno raccontato della maternità, e di come viene affrontato nelle attività proposte alle famiglie che seguiamo nei vari progetti. Ecco le sue riflessioni.
Sulla stanchezza delle mamme ci sarebbe tantissimo da dire. Da operatrice, da ostetrica e da mamma posso dire che si tratta di un’esperienza assolutamente comune a tutte le donne che affrontano per la prima, la seconda o che sia anche la terza volta l’esperienza della maternità. Nel caso delle utenti che frequentano i nostri servizi, spesso di origine straniera o comunque segnate da condizioni di marginalità e isolamento, questa stanchezza è acuita dalla mancanza di figure di riferimento a cui poter chiedere un supporto: una madre, una sorella, un’amica, una comunità, un reticolo di relazioni che nel contesto di origine avrebbe avvolto la neo-mamma e il suo bambino e che invece in un contesto di migrazione è del tutto assente o comunque estremamente disarticolato. La solitudine, dunque, accentua in modo esponenziale la stanchezza – per così dire – fisiologica di una neo-mamma, ma ha anche un’altra conseguenza, altrettanto significativa: la priva di quel bagaglio di informazioni, consigli, suggerimenti che possono essere davvero importanti, sia sul piano pratico che su quello psicologico, in quella delicata fase in cui una donna “impara” a diventare mamma. Altra conseguenza dell’isolamento è, per queste neo-mamme, anche il più difficile accesso ai servizi per la famiglia presenti sul territorio, fondamentali non solo per monitorare le condizioni di salute di madre e bambino, ma anche per fornire informazioni e aiutare la neo-mamma a orientarsi in un momento che sicuramente può essere di grande confusione. Banalmente, non sapere cosa fare quando un neonato ha la febbre alta può aggravare ancora di più il peso della stanchezza e il senso di sopraffazione che una mamma sente su di sé, e che invece potrebbe essere alleggerito da un colloquio con un pediatra che spiega in modo chiaro come comportarsi in questa eventualità.
In tutti i nostri servizi ci poniamo come obiettivo principale quello di supportare i genitori nel creare per i loro bambini un ambiente sano e sereno in cui crescere e prevenire o andare a lenire situazioni di potenziale stress o pericolo. Perciò dare il giusto spazio al racconto di questa dimensione della maternità diventa per noi fondamentale È infatti inevitabile che la stanchezza o il senso di sopraffazione che una madre può sperimentare nell’accudire un neonato senza un supporto possano influire sul legame madre-figlio, generando sentimenti di frustrazione o ansia che, se non rilevati per tempo e accolti con la dovuta attenzione, possono tradursi anche in comportamenti lesivi per il bambino. Questo rischio cresce esponenzialmente nel caso di più gravidanze, anche ravvicinate, dove la stanchezza si moltiplica.
Per noi operatrici diventa importantissimo cogliere segnali che possono essere dei campanelli di allarme di una situazione di difficoltà. Si va dalla trascuratezza – scarsa igiene, segni di pannolini cambiati non con la dovuta frequenza – allo scarso accrescimento, a uno sviluppo inadeguato del linguaggio o della reattività del bambino agli stimoli: sono tutti fattori che possono indicare che quella mamma non riesce ad attivarsi come sarebbe necessario davanti ai bisogni del suo bambino e dunque ha bisogno di un supporto.
La prevenzione è il tema portante di tutti i nostri interventi, perciò anche quando non rileviamo situazioni di rischio evidente cerchiamo comunque di trasmettere alle neo-mamme un’informazione il più possibile accurata e comprensibile sui temi più importanti legati alla gravidanza e ai primi compiti genitoriali. E spesso già solo avere queste informazioni – così come sapere a chi rivolgersi in caso di difficoltà – fa tantissimo per far sentire le mamme più “attrezzate” e meno sopraffatte. Quando poi ci rendiamo conto che la situazione presenta già degli elementi preoccupanti, avviamo una presa in carico integrata della diade madre-bambino, in rete con i servizi sociali e con tutti i soggetti che può essere utile attivare sul territorio, con l’obiettivo principale di tutelare la salute e la sicurezza del bambino e supportare la madre nel suo ruolo. Queste prese in carico sono sempre personalizzate e il più possibile adattate alle specificità della condizione di quel nucleo familiare: in questo senso la multidisciplinarietà che caratterizza la nostra équipe di lavoro ci è molto di aiuto.
Una cosa che funziona moltissimo, infine, è la condivisione delle esperienze. Spesso le madri – non solo quelle che vivono in condizioni di disagio o marginalità – avvertono come indicibile il senso di inadeguatezza e di confusione che è invece parte integrante di questa fase: avere a disposizione uno spazio sicuro e protetto in cui poter condividere pensieri o esperienze anche negative senza paura di essere giudicate delle “cattive madri”, ma al contrario essendo circondate dagli sguardi di empatia e di reale comprensione di altre donne che stanno vivendo la stessa situazione può essere un vero balsamo. È per questo che molto importanti sono, nei nostri interventi, questi momenti di incontri di gruppo, costruiti in modo il più possibile orizzontale, in cui possiamo scegliere assieme alle mamme gli argomenti su cui confrontarci e parlare – il bagnetto, i malanni di stagione, il sonno, lo svezzamento – o lasciarle libere di raccontarsi i capricci dei loro bambini, le nottate in bianco, la fatica dell’allattamento, le giornate che non passano mai, e mettere in circolo consigli, suggerimenti, o anche solo una carezza, una pacca sulla spalla, un provvidenziale “sì, capita anche a me”.